Annunci o perdete ogni speranza…

Come una giostra o caccia al tesoro,forse moderna escape room, spasmodica corsa all’annuncio alloggio in affitto! Da mesi, ormai, scarseggiano, in città, anche a Torino, come le offerte su certi scaffali o i film imperdibili. Sono sempre pochi i fantomatici alloggi me i gol in molte partite o quasi inesistenti. Tranne i rari per studenti o transitori. E alcuni chiedono anche garanti (2?!) . Che il malcapitato di turno non può non rispondere: ma non ho vent’anni e ho un lavoro fisso.. Quasi fra i denti, in preda a un mezzo attacco di panico. 

Con aumento generale  dei prezzi, anche gli alloggi sono cresciuti e spariti. Non fai in tempo a leggere, annotare e chiamare che già non lo trovi più. Come se un elfo dispettoso o una fata arrabbiata avesse fatto un incantesimo. Dei peggiori! Si fissa ( quando va bene) appuntamento ( manco fosse un che di romantico, proibito o losco) e si attende. Alcuni, affittati nel giro di giorni o minuti. Non conta neppure arrivare primo, vederlo e mostrare interesse concreto con fotocopia di buste paga. Ansia di concludere fa brutti scherzi, ti rende agitata, nevrotica come dopo mille caffè, insinua qualcuno e forse spaventa. Possibile?! Eppure non era la prima volta che agente immobiliare spariva proprio come il futuro alloggio. Forse non perfetto, ma con tutto arredo, il frigo e la lavatrice ( ma siamo mica agli anni 50/60?!),vista anche se mansardato, ascensore ( anche se non al piano), ristrutturato, piacevole. Prezzo,a parte. 40 mq più 600 euro che fino a 6 o 7 mesi fa sarebbero stati 450/500?! E estate era andata, inverno forse pure e nulla. Ennesimo silenzio o frase dietro al messaggio forse fra le righe: affittato. Io pensavo fosse amore/ alloggio ( parafrasando il grande Troisi) e invece era un miraggio/ calesse. E scatole, piccole, grandi, accumulate, ovunque, del trasloco, palline di Natale nuove nuove, accessori festa di inaugurazione ( quella giusta?!) e bandolo di matassa incluso, ancora una volta chiusi nel cassetto, in attesa. Godot/ Alloggio non era arrivato.

Gennaio dopo la Befana

Sì, lui o Mister Inverno, fra tutti, forse il più complicato, dopo i bagordi festaioli di Dicembre come una finestra sul mar Artico…

Luminoso, brillante anche se non più bianco e iridescente come un tempo raccoglie propositi, dubbi e speranze natalizie o super postino. Senza renne, bici, cavalli non smette di volteggiare fra foto, flasback, video. Ma non sappiamo ancora che fare . Fra decreti, progetti, budget sempre più limitati e sogni intermittenti, nuvole e colori del cielo, lune e ricordi. Foto dai social o da un PC, fanno strage nella memoria.  Difficile trattenersi mentre rivedi un tempo quasi remoto. Quando, anni 90, si viveva con poco con dignità, senza spasmodica fuga di esame in esame , trasloco in trasloco, occhi dolci e grandi nascosti dietro a un sorriso melanconico, come un anticipatore, profeta, mago . Ma non basta forse un ricordo anche bianco come neve ai raggi di luna piena, che ti ricorda che tutto è sospeso, come fermo immagine e non c’è però ritorno . 

Il post festività  è sempre agrodolce come gli avanzi di una festa, mentre il tempo va e sembra che quasi nulla possa disegnare quel puzzle mancante. Eppure come raggio di luna di una antica leggenda ( Becquer insegna o fiabe del Nord), come un cucciolo ti accarezza e riporta laggiù, quando nevicava e quando si sognava un futuro magari dall’ accento spagnolo, fra Erasmus e treni pendolari, walkman con Battisti, Depeche Mode, Jukebox di un bar, stazioni di legno e sguardi avvolti di lontananza e fumo.

Befane o fine feste

Come in ogni tradizione che si rispetti, la vecchina fra sogno,mito e leggenda è andata. Qualcuno tira un sospiro di sollievo fra filastrocche, scongiuri, sorrisi, calze e ricordi di infanzia e non. La Fortuna quella grossa che chissà perché è abbinata proprio al 6 gennaio è passata al nord, a Milano. Ma la neve è solo in montagna come tutte le cose belle, si nasconde, forse. Niente nevicate in città. A Torino proprio nulla, mentre anno scorso sì, con le palle da tennis, qua e là, coperte come quasi vere palle di neve, immobili e maestose nelle foto e i selfie, a rimbalzare sui social. Sarà ( come da profezie, previsioni varie) mica davvero un anno funesto!? E ci penso, io, come tanti, quasi automaticamente, mentre cerchiamo nel taglio della focaccia dolce, la fantomatica fava, anche quest’ anno, ben nascosta, noi ragazze ex ragazzine, con qualche anno in più, amiche forse da sempre, befane per vocazione e gioco,sedute al bar, a scambiarci auguri e regali, mentre anche l’ ultima fetta di focaccia è andata. Forse era proprio là, in un quel pezzo dedicato a quel ragazzo di 50 primavere, uno che vive per strada, ed è sorridente, sempre, anche se fa tanto freddo, ora e non ha che un angolo di sogno e due coperte per scaldarsi. Per una volta, forse ha scelto il candidato giusto, la Fava befana, o fortuna che sia.

E intanto, già i negozi sono vestiti di nuovi colori: il carnevale incombe. La fretta, la moda, la frenesia che ci porta via. Dietro all’angolo, un mix di odore di caldarroste, zabaione, cioccolata calda e il rumore di passi, la stropicciata carta di giornale in cui fino a qualche tempo fa tante befane ( madri) incartavano, qualche giocattolo, bucce di arancia, caramelle, noci, in calze vere, sussurrando per non farsi sentire, mentre noi figli già quasi grandi, fingevamo di dormire. Quella notte, del 5 gennaio, era la più dolce e magica. E non è più tornata.

Buon Anno!

Come un tormentone musicale o un mantra torna il buon anno. Scartati gli ultimi regali, sistemato albero da qualche pallina rotta dal gatto e un occhio alla bilancia, uno alle notizie,che abito nero/rosso/ argenteo è già in fondo all’armadio con residui di mal di testa da apparente sbornia o gastroenterite da cenone che ancora nella orecchie come un fischio,eco di auguri. Con internet si sa è tutto più rapido, frettoloso e anche meno reale. Niente chiamate, brontolone dei tempi dei nonni che ripetevano dalla lontana Sicilia: auguriii ….nel terrore di non farsi sentire e ci si passava la cornetta di padre a madre e figli. Ora 2 brevi sintagmi: buon anno! magari corredati da video, faccine o simili è il gioco è fatto, con copia/incolla e invio a tutti o almeno a gruppi di 4/5. Pochi istanti e la voce ( messaggi audio a parte) resta a riposare mentre si traffica in cucina per sistemare dopo ultima lunga serata di festa. Qualcuno la immagina. O la sogna, cercando fra i ricordi , fra bicchieri e foto, quella vita familiare o di coppia ormai sempre più lontana, mentre suona l’ ultimo cd di Conte, nella stanza, come da un grammofono: così tanguero, jazz e swing allo stesso tempo. Che appena trovi qualcuno, non puoi non consigliarlo, quasi in un sussurro, al  caro amico ( e amato vecchio ex) di turno, in un breve flash telefonico, proprio la notte di capodanno.

“Come la notte dei miracoli…!” Sì, ripeti ad alta voce, quasi euforica. Anche un bel cagnolino, tutto bianco, appare sulla soglia del bar, incontrato, già aperto alle 6,nella disperata ricerca di cappuccino e brioche, dopo la fantomatica apparente notte da leoni, post disco,fra quasi tutti over 50 e anche più, noi già fra i 42 e i 56, per la prima volta insieme, il 31 dicembre e in disco dopo quasi 20 anni, forse un pochino assonnati a restare svegli fino alle 6, come per entrare in qualche strano Guinnes, mentre la malinconia ci prende per mano e ci porta via.

Intermezzo

Dopo Natale è un tempo incerto, scivoloso, sbiadito,una slavina inevitabile verso ultimo dell’ anno. I regali attesi ( e non) arrivati o no ci guardano da un cassetto, armadio o altrove mentre il povero albero ( se presente) immobile resta coi suoi mille orpelli, seminudo alle radici, con quel tappeto rosso sfilacciato a guardare noi o i regali o entrambi, quasi triste. Ma noi siamo già con la testa a chissà quale progetto, itinerario e buoni (finti) propositi e speranze da anno nuovo.

Ormai da anni ( o forse da sempre) ma sicuramente da 3 anni, le date fatidiche hanno perso glamour, fascino e quel non so che.Si arriva a fatica, sempre più stanchi, quasi increduli di aver superato estate, sagre varie, Natale e Santo Stefano, con un occhio alla Befana.  Un limbo fra illusi e disillusi, nuovi poveri e nuovi quasi poveri, apparentemente felici o soddisfatti a caccia di cose, novità, tecnologie e viaggi incredibili. Eppure dopo la Messa del 24 dicembre, per molti qualcosa è cambiato. Un click nascosto, impercettibile,  che ha fatto vibrare qualche corda, ricordato forse, i nostri limiti, debolezze e potenzialità.” Lustrini e pacchi non potranno mai colmare il vuoto dentro e fuori…” (Sembra risuonare da lontano…)Le mille sedie o le mille voci…” E al cinema, con un film minimalista ma pieno di poesia, forse,di più senti quelle mancanze. Nonni, madre, cugini, zii, o compagno che siano, e ti sembra volare leggera la neve improvvisamente,mentre fuori il cielo è luminoso e tira solo un po’ di vento. E la leggendaria calza appesa, forse solo un ricordo sfuocato in mezzo a tanti pupazzi a forma di befana in attesa, appesi come retaggi commerciali mescolati fra i babbi o pupazzi di neve alle finestre e balconi fra luci festose e lontane.

Quasi festa!

Pochi giorni al momento delicato, quello del Natale. Euforia è nell’ aria. Quasi si taglia come un panettone o pandoro ( a scelta). Eppure non è proprio come si crede. Quella sottile febbre che forse fino a ieri ( fosse anche solo 2015 o 2019 o 2000) ci portava via. Pubblicità semplice ma vincente. E meno social. Ora sembra tutto ( o quasi) filtrato dai social. E internet. Si vive in Rete. Foto, selfie, tac subitissimo tutto sparso al Mondo. Ci si è abituati a far sapere. Senza Comunicazione, non esiste ( quasi) nulla. Tutto fenomeno mediatico. E noi, solo ormai fantocci, burattini. E si aspetta la Divina Tredicesima( chi può) come ( o forse più) dello stesso Natale. Pacchetto incluso: addobbi, corsa ai regali, attesa, solitudine e affanno,  conditi di vaghi auguri e pranzo o cene aziendali, messaggi su messaggi, si rincorrono come folli palline di flipper nell’ Etere e fugace Internet.

Eppure le strade sono  sempre più lastricate di poveri e alberelli discreti. Quasi ci si vergogna di festeggiare Natale, la  Nascita, che Arte, pittorica, forse, più di tante altre ha saputo raccontare nei secoli, anche se il cinema continua a provarci fra ironia e leggerezza. E intanto si fa finta che esiste ancora un briciolo di speranza e di gioia in fondo a un dono ( o idea di un dono) o di un bicchiere fra colleghi e amici, parenti ( chi può), mentre invece è buio pesto e ogni gesto trasuda di malinconia. Da 3 anni non siamo ( e forse non saremo mai più ) gli stessi.

Dopotutto la sensibilità come la solidarietà ( vera) non è per tutti. O forse sono solo apparentemente cinici. E intanto noi, festaioli, tradizionalisti,ingenui, credenti o no, ci illudiamo, forse, che quella luce messa su un presepe fine anni 80/90( ormai ricordo lontano) che faceva sognare come una vera cometa, ci elettrizza ancora come il caro albero di Natale, sempre quasi vuoto o quello poi carico, quasi traboccante, anni 2000, quando qualcuno era lì con noi ( madre, padre, nonna o fidanzato) e ci sorrideva e sembrava volerci far tornare piccoli, con tanti pacchetti e un biglietto sincero, tenero, di auguri.

 Beati i puri e beati gli innamorati, i sognatori e i romantici e i giochi da tavola. O caro mito e sogno chiamato Natale,  forse ormai appeso a un filo sottile di lucine e sfilacciati ricordi e neve artificiale mentre il vento dell’ Inverno batte alle finestre, cupo come un motore acceso, all’ una di notte.

Paura

Una volta era il buio. Noi che guardavamo in alto, da sotto le coperte,  se qualcosa si nascondeva sopra al famigerato, gigantesco armadio in rovere, magari della casa di campagna o montagna dei nonni. E si restava svegli finché si poteva, per scongiurare immani pericoli. Poi era altro, sconosciuto, ipotetico nemico, il tizio delle caramelle.

Ora, forse, dopo anni di propaganda più o meno giusta e progressista, sono i rumori, specie se soli, in una mansarda o in qualche albergo, in vacanza. Quelli più sinistri  come porte, persiane, ma anche bici nella notte, carretti indefiniti ( e senza gelati) o voci lontane , grondaie o motori accesi più del necessario. Ma anche la paura rappresentata dal mitico omino nero di fiabe e leggende, uomo nero che distrugge i sogni, come in certi film di animazione,sta tornando in auge. Forse perché le città come le case non sono più tanto sicure. Colpa di certi film horror e non solo. Forse anche il buio, la scarsa illuminazione di molte città, ma anche i social non ci hanno reso forse ormai dipendenti e fragili  con eccessi di connessione? E i colpevoli sono i famigerati like, i mi piace. E Il gioco è fatto. Ti ritrovi notizie ripetute ogni giorno, a martello, false notizie, gossip, inclusi pseudo video comici con la nuova moda di cani e gatti doppiati. Altro che la gallina Rosita di vecchie pubblicità . Quelle erano roba da educande o da libro Cuore. Che poi possono anche essere piacevoli 30 secondi o 1 minuto di scherzi ma se diventano una costante o nevrotica abitudine…

Forse il più grande timore dopo la morte, malattia e mancata pensione o assenza di lavoro, è forse proprio una vita non vita. Se il virtuale ci sta togliendo tempo per le cose vere, cosa ci resta?! Eppure molti non se ne accorgono, affatto. Siamo disorientati. O assuefatti.

 E anche se è vero che spesso la mappa navigatore del nostro adorato smartphone ci aiuta a non perderci, quando fuori è buio e tempestoso, ma forse ogni tanto staccare la spina, non sarebbe male(come si diceva una volta, in senso metaforico),oggi invece si dovrebbe fare realmente. E non lamentarsi che per 5 o 10 minuti, la Rete non va, come purtroppo succede. Specie se non si sta lavorando.

Forse la paura più grande, oggi è perdersi . Non si sa più leggere mappe, chiedere indicazioni o seguire i cartelli e si cerca il famigerato navigatore virtuale. Lo abbiamo fatto tutti, specie in una città nuova. Forse siamo ormai figli di insostenibile paura di perdersi.

Dicembre

E sembra ieri o quasi che auguri auguri e riecco ultimo mese dell’anno alle porte. Tutto come da copione,eppure sempre improvviso. Fra non più vere stagioni, fantacalcio, sagre di tutto e tennis, le vetrine di Torino ( e non solo) si rifanno il trucco e si intravede la marea di addobbi, panettoni, film e grandi film aspettando gli Oscar, capodanno e i nuovi propositi. Chissà perché sembra sempre troppo presto. Da qualche anno fra stagioni ormai falsate, crisi, chiusure e mezzi cataclismi, anche le feste natalizie non sono più come prima.

Certo non è così per tutti. Chi è povero, precario o solo, lo è di più. Come se fosse proporzionale lo scintillio delle luci nelle vie al calo di desiderio di festa di molti. Gli ultimi anni hanno lasciato strascichi ovunque. Le città, la sera non sono più così illuminate. E qualche chilometro più in là, peggio. E te ne accorgi nei quartieri fuori dal centro, meno ricchi o fuori città. Magari sbagliando bus. Come una vecchia corriera che vaga nella sera buia. Inverno stende il suo velo. Anche senza neve. Ti senti perso. Come clandestino o fuori luogo, E cerchi invano qualche segnale dal finestrino o da Internet. Siamo ormai troppo digitali. Abbiamo perso ogni vecchio, sano orientamento, forse. La Rete ci ha inglobato. Senza connessione o con la batteria scarica, sembriamo ormai tutti incapaci o robot spenti. E anche quella breve gita che doveva essere gioia, spensieratezza, dolce memoria, forse fuga, si colora di incubo. E quasi era meglio restare fra le mura del centro, magari in un bar a raccontarsi, anche se svogliatamente, dopo il film al cinema, bello ma non troppo.

la solitudine pesa si, la domenica di più. Ma forse anche la mezza compagnia. La presunta fuga poi è quasi ingenua o ridicola come il ritorno nei luoghi amati.

E sogni a metà un natale quasi normale mentre sorpassi i carrelli fra la folla, mentre rinunci a questo o a quello e appare sul vetro nel buio quel bel albero di natale,acquistato di corsa dopo la riconciliazione, quando pensavi che sarebbe stato per sempre. E lui era lì per te, sorridente come un elfo o un babbo natale. Ma il bus correva nella notte portandosi via anche quella scia luminosa di albero gigantesco, come una valanga.

Certi giorni

Autunno è tornato non solo per le foglie ormai tappeto ovunque e la temperatura, le caldarroste e le fiere, halloween e le minestre. Il freddo ormai, porta neve in montagna, pioggia e bar e centri commerciali pieni.

Certo non sono più i tempi del 2018 o 2019, vagamente tranquilli o folli, successivi. La crisi ha visto tanti negozi, locali, anche storici arrendersi.Forse come tanti che dopo quel bisestile tragico, pur senza essere per strada, vivono ai margini. Si, si margini della vita normale, amici, relazioni, famiglia,lavoro, ecc. Il the day after è lì, fra cicatrici profonde, sogni incubo, abitudini e ricordi. Mezze identità che si rincorrono fra social, album foto, momenti e luoghi. Come sopravvissuti. E in un certo senso. La sera scorre sempre lenta, fredda, silenziosa.I week end e le feste, poi sono retaggi. Ci si sforza di recuperare pezzetti di puzzle. Ma basta poco per essere risucchiati nelle sabbie mobili. E una domanda facile che esplode addosso tutto il non sense di un paesaggio ormai lontano, tipo: Natale? !Eco di una vita che era lì e poi non più. Quel giorno,maledetta sera che qualcuno aveva annunciato, piano, come un notiziario, quasi sottovoce e aveva spezzato tutto.